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convegno
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Il Convegno di studi "Ante et post Lunam:
splendore e ricchezza dei marmi apuani - I - L'evo antico" - tenutosi
all'interno della XXIV edizione della manifestazione fieristica
"Carraramarmotec" - ha rappresentato un primo importante
contributo alla conoscenza del patrimonio archeominerario delle Alpi Apuane, con
l'obiettivo di contribuire all'istituzione del "Parco archeologico delle Alpi Apuane".
Presentazione del
primo Convegno
Luna sorse nel 177 a.C. come colonia agraria, mentre erano in corso, cruente ed
incessanti, le guerre contro i liguri. Cresce e prospera per tutto il I
sec. a.C., quando si aprono le prime cave romane sui rilievi marmorei
delle Apuane prossimi alla città, dove diversi secoli più tardi si
formeranno Carrara e i suoi borghi.
Nel
periodo imperiale, l’impresa estrattiva si amplia e si diffonde per le
valli tributarie del Carrione.
Luna
gode della benevolenza dei principi di Roma, dopo che l’amministrazione
imperiale, in pieno periodo giulio-claudio, prende la decisione di
confiscare le cave.
Da quel
momento, il nome della città si lega indissolubilmente a quello del marmo
niveo delle Apuane, che l’aggettivo ‘lunense’ farà conoscere a
tutto il mondo antico. Nell’Urbe, in Italia e in molte altre province
dell’impero, i marmi di
Luna trovano impieghi vastissimi, tanto da
rivaleggiare con i ‘bianchi’ della tradizione greca. L’impresa
estrattiva lunense accompagna così la parabola ascendente e poi
declinante di Roma fino al V sec. d.C.
Nell’alto
Medioevo, tutto s’acquieta e s’interrompe, per riprendere negli stessi
luoghi (ed oltre) appena dopo il Mille. Intermittente nei secoli
successivi, tra rovinosi abbandoni ed istantanee riprese, la storia
estrattiva delle Apuane reca evidente l’eredità della città –
solis
soror – con quel fluire impalpabile di una tradizione che
l’espressione post Lunam sintetizza a pieno.
Oggi,
l’Era lunense non ha più soltanto un “dopo” di ‘splendore e ricchezza’ lapidea, che ha conosciuto i fasti imperiali, la purezza
rinascimentale e l’opulenza barocca. Quelli che, fino a ieri, erano poco
più che indizi di un “prima”, cominciano a delinearsi nettamente e a
definire un ante
Lunam inaspettato
e, per molti versi, misterioso. Pregio di questo convegno è proprio nel
puntare finalmente dritto alla comprensione del rapporto, niente affatto
rozzo e primordiale, che le genti italiche hanno stabilito con i marmi apuani.
Noi scontiamo un ritardo nelle conoscenze di tecnica e produzione lapidea preromana, anche perché pregiudizi e luoghi comuni hanno forse impedito
di vedere e capire. Non va dimenticato che, fino a qualche tempo fa, la
storiografia ufficiale descriveva ancora la civiltà etrusca come inadatta
ed incapace di fronte alla cultura del marmo.
Antonio
Bartelletti
Direttore
Parco Regionale delle Alpi Apuane
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Ad un anno esatto dal suo
svolgimento, nella stessa sede e all’interno della medesima manifestazione
(la XXV edizione della CarraraMarmotec di Marina di Carrara)
sono stati presentati gli Atti del primo convegno di studi organizzato dal Parco
Regionale delle Alpi Apuane, per fare il punto sulle nuove prospettive di
ricerca riguardo ai materiali, alle tecniche di lavorazione e agli impieghi
architettonici ed artistici dei lapidei dell’area apuana (e dintorni)
nell’Antichità, sia in età pre-romana che romana.
Gli Atti sono stati
raccolti in un volume monografico della rivista “Acta apuane” (II, 2003) e dati
alle stampe grazie anche al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di
Lucca.
L’obiettivo primario di questo convegno, come ha ricordato nell’introduzione il
prof. Pierlorenzo Secchiari (Presidente del Comitato scientifico dell’Ente
Parco), è sostenere studi di approfondimento che intendono spingersi oltre le
attuali conoscenze – frutto di importanti acquisizioni, ma anche di vedute
parziali – per uscire dall’impostazione monoculturale delle cave romane di
Carrara come unica testimonianza, spazio-temporale, di utilizzo effettivo di
marmo apuano prima del V sec. d.C.
Ad
ogni modo, anche nel merito delle cave romane e soprattutto del significato
epigrafico di marchi e sigle di cava, Angeli Bertinelli (Università di Genova), Paribeni (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana) e Segenni
(Università di Milano) hanno fatto intendere come molto ci sia ancora da
indagare e soprattutto da intendere sull’organizzazione, sui rapporti di
committenza e di produzione, sui trasporti e sui commerci, soprattutto durante
l’età imperiale, a meno che non si voglia oggi pedissequamente riproporre la
stessa lezione, meritoria ma datata, del Bruzza e del Dubois, a circa un secolo
dai loro contributi.
Ancora all’età romana, va iscritto l’articolo di Antonio Bartelletti (Parco
Regionale delle Alpi Apuane) riguardo ad un eccezionale reperto di cava,
probabilmente del I sec. a.C., sul quale si evidenziano, per la prima volta nel
‘marmo lunense’, le tracce della segagione manuale, insieme ad un numero mai
così alto di notae lapicidinarum, la cui interpretazione viene qui
tentata in parallelo alla lettura delle tecniche di lavorazione, denotando
competenze e conoscenze inaspettate per il mondo produttivo romano
Particolarmente stimolanti sono poi gli articoli sull’attività estrattiva in
periodo preromano. In particolare, Cantisani e Fratini (C.N.R.-I.C.V.B.C.
Firenze) insieme a Pandolfi e Molli (Università di Pisa) hanno confermato, a
seguito d’indagini petrografiche in sezione ultrasottile, come i grandi cippi ‘a clava’ del VI-V sec. a.C. (ritrovati nella pianura versiliese e da associare a
sepolture di cultura etrusca) provengano tutti, con alta probabilità, dallo
stesso luogo estrattivo. In effetti,, le loro caratteristiche microstrutturali
indirizzano verso le cave di Ceragiola, località posta tra Seravezza e Pietrasanta, in una zona di estrema vicinanza degli affioramenti marmiferi alla
fascia costiera apuo-versiliese. L’importanza di questa nuova acquisizione sta
nel fatto che il comune luogo di provenienza di un numero così elevato di
reperti escluda un reperimento occasionale, magari da massi rinvenuti lungo il
greto dei fiumi, spingendo piuttosto ad una prima attività di cava, oggi non più
visibile a causa delle enormi trasformazioni conseguenti a secoli di successiva
impresa estrattiva.
Con questo risultato non si è inteso strappare a Carrara il primato
dell’utilizzo più antico dei marmi apuani. In realtà, un’altra interessante ed
innovativa relazione di Bruschi e Criscuolo (Comune di Carrara) insieme a Zanchetta (Università di Pisa), ha preso in esame alcuni ravaneti storici dei
bacini di Carrara (Fossa della Carbonera, Strinato, Scalocchiella e Gioia)
conducendo un primo studio stratigrafico sui detriti di lavorazione delle cave
di marmo. Grazie alla datazione al C-14 di paleosuoli, con livelli ricchi di
carboni primari, che si rinvengono all’interno dei ravaneti stessi, hanno
dimostrato sia la ripresa estrattiva medievale delle cave di Carrara (XIII-XIV
sec.), dopo l’abbandono conseguente alla caduta di Roma, sia l’esistenza di
scaglie di lavorazione che precedono la romanizzazione del territorio e
databili, nei due diversi livelli ritrovati, al IV-III e al VI-V sec. a.C.
Entrambe le relazioni sul periodo preromano – introdotte da Emanuela Paribeni
(Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana) nel contesto della
presenza etrusca a nord dell’Arno – sono venute a sostenere l’ipotesi storica e
non la “leggenda” di una cultura d’ambito etrusco che già impiegava i marmi, sia
a Carrara sia in Versilia, trovando ulteriore sostegno archeologico dai reperti
d’età arcaica ed ellenistica recentemente rinvenuti presso la Rocca di Corvaia
(Seravezza), in una località prossima ai siti estrattivi indiziati, con un
insediamento spiegabile con la protezione e controllo delle attività etrusche di
cava .
Inoltre, il marmo oggi di Carrara – che aveva trovato nello sviluppo
economico-commerciale della città di Luni la consacrazione in età classica e la
denominazione di ‘lunense’ – ha comunque avuto un altro lapideo bianco di
precedente impiego e/o di ‘sostituzione’ successiva, che giungeva dalla zona di
Punta Bianca, oltre Bocca di Magra. Alcuni importanti reperti di Luni sono stati
presi in considerazione da Marco Franzini (Università di Pisa), che vi ha
riconosciuto questo litotipo come materiale costituente, il cui afflusso nella
stessa città era favorito dalla vicinanza e dal trasporto lungo vie d’acqua.
Come già accennato, tra le attenzioni poste verso i lapidei apuane dal convegno
e dagli Atti pubblicati, non vi sono soltanto quelle rivolte ai marmi bianchi,
ai venati e ai bardigli della tradizione carrarese, poiché alcuni articoli hanno
preso in considerazione l’utilizzo dei colorati in età romana. In particolare,
Amorfini e Bartelletti (Ente Parco Regionale Alpi Apuane) presentano qui i
risultati di nuove analisi sulle caratteristiche mesoscopiche e petrografiche di
alcuni importanti reperti (blocchi riquadrati, colonne, ecc.) ritrovati a Roma,
che porterebbero ad escludere una provenienza apuana del litotipo conosciuto
come ‘breccia bruna del Testaccio’ (dal nome del quartiere romano dove fu
rinvenuto un deposito ingente di tale materiale) e probabilmente anche della
‘breccia cenerina’, se alla precedente associabile. Al contrario, i dati finora
raccolti sulla ‘breccia di Seravezza’ (o ‘breccia medicea’) risultano
compatibili con l’ipotesi di una possibile estrazione, in età romana, di questo
splendido marmo policromo affiorante in Alta Versilia e nella Valle del Frigido.
A seguire, l’articolo di Giovanna Tedeschi Grisanti (Università di Pisa) che ha
illustrato il numero e la varietà degli altri marmi colorati toscani, mettendo
in risalto i problemi di identificazione e di reimpiego. In questo excursus
sono confluiti tutti i lapidei di interesse ornamentale, utilmente cavati dalla
civiltà romana, comprendendovi i cipollini, il giallo di Siena e perfino i
graniti dell’Elba e del Giglio.
Le
conclusioni degli Atti comprendono una compiuta relazione del prof. Patrizio Pensabene (Università di Roma “La Sapienza”) che ha trattato la diffusione del
‘marmo lunense’ nelle province occidentali dell’impero romano, con la
sottolineatura della crescente importanza del litotipo come “marmo di
sostituzione” dei più antichi e rinomati ‘bianchi’ dell’area greca. Segue una
lunga e dettagliata bibliografia sui marmi antichi, che potrà servire agli
studiosi ed appassionati per approfondire le proprie ricerche e letture.
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